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martedì 19 gennaio 2010

Pandemia e mortalità

Riporto le considerazioni inviate ad EpiCentro e pubblicate nel notiziario dell'8 gennaio 2010.
Si parla di pandemia e mortalità.

Guatiero Grilli, Daniel Fiacchini (PF Sanità Pubblica - Regione Marche)

Per gli addetti ai lavori il numero dei decessi è solo uno dei parametri da verificare e non necessariamente il più importante, o almeno non lo è in tutte le circostanze. Al contrario, l’opinione pubblica, tramite i mezzi di comunicazione di massa, sembra considerarlo come unico indicatore d’interesse e, per questo, capace di influenzare pesantemente i comportamenti delle persone.
Poiché più di altri è soggetto a interpretazioni ed equivoci, appare necessario approfondire brevemente il significato di questo parametro.
Il primo problema è l’utilizzo del solo numero di decessi: si tratta di un indicatore povero, poco informativo, talvolta fuorviante. Il numero dei decessi per una certa patologia dovrebbe sempre essere messo in rapporto con un altro numero che rappresenti, ad esempio, i malati o gli esposti. Se al denominatore abbiamo il numero totale dei malati e al numeratore il numero dei deceduti potremo parlare di tasso di letalità; se al denominatore abbiamo gli esposti, ovvero l'intera popolazione interessata dal fenomeno in studio, si potrà parlare correttamente di tasso di mortalità.
Per gli indicatori come il tasso di letalità o il tasso di mortalità è, inoltre, opportuno sottolineare la necessità di stabilire un intervallo temporale entro il quale questi indicatori devono essere considerati. Ciò che di frequente accade, è che i decessi vengano sempre sommati a partire dall’inizio della epidemia. Ciò è stato già fatto in occasione di tutte le più recenti epidemie e, in alcuni casi, come l’Aids, si è continuato a effettuare somme per anni, col risultato di far perdere significato a questo numero. Nel caso della pandemia influenzale, all’inizio della circolazione del virus gli esposti sono rappresentati dall'intera popolazione, ma questa condizione riguarda un periodo limitato di tempo che va comunque identificato con chiarezza. Immaginiamo un articolo di giornale che dica che in Italia si sono verificati 30 decessi, mentre in Giappone 50: se non compariamo almeno la popolazione delle due nazioni e non riferiamo il dato a un periodo di tempo limitato, queste informazioni non avranno alcun significato.
Il problema si complica ulteriormente quando si tratta di stabilire quando un decesso è da attribuire all'influenza. In questo caso, esiste una reale difficoltà, in quanto, in termini epidemiologici, la definizione di causa di morte cambia a seconda del suo utilizzo, senza che questo costituisca una pratica scorretta. La maggior parte dei soggetti contati oggi come morti per influenza non apparirà nelle statistiche di mortalità Istat perché, nella classificazione ufficiale delle cause di morte, la causa è “malattia o evento traumatico che, attraverso eventuali complicazioni o stati morbosi intermedi, ha condotto al decesso”.
Come è noto, l’influenza agisce spesso da causa intermedia, poiché costituisce l’aggravamento di una malattia di base. Se muore per influenza un paziente affetto da leucemia, la causa di morte è la leucemia. A fronte di questo, sembrerebbe, quindi, corretto smentire con forza tutti i vari conteggi che appaiono sui giornali: l’influenza non è quasi mai la vera causa del decesso, ma aggrava semplicemente una grave patologia preesistente.
Va anche precisato che il conteggio effettuato con questa metodologia è distorto da una consistente sottostima del fenomeno: vengono contati solo i morti in cui risulti un isolamento virale. L’isolamento virale non viene fatto in tutti i casi, il prelievo deve essere fatto al momento giusto e con metodologia corretta, quindi è ragionevole pensare che i decessi occorsi “con infezione da virus influenzale in corso” siano in numero maggiore.
In epidemiologia, per stimare il numero dei decessi attribuibile all'influenza stagionale è spesso utilizzato un altro parametro: l’eccesso di mortalità. In poche parole, si tratta di utilizzare il numero di decessi avvenuti per tutte le cause e comparare il numero delle morti verificatisi durante la stagione influenzale con il dato medio delle morti registrato nel restante periodo dell'anno. Questo indicatore consente di valutare l’impatto dell'influenza sulla mortalità di una popolazione. In questo caso non ci sono errori dovuti a mancanza di diagnosi, imprecisioni di interpretazione o altro, in quanto i morti vengono contati tutti, indipendentemente da qualunque altro fattore. Questo indicatore può essere calcolato per classi di età e per sesso. Il valore ottenuto non è generico come potrebbe apparire, infatti, durante un evento come un'epidemia di influenza stagionale (ma questo calcolo è stato fatto anche per altri eventi come ad esempio le ondate di calore), la malattia può avere effetti sulla mortalità in vario modo: aumento degli incidenti, aggravamento di malattie non diagnosticate, influenza stessa non diagnosticata, ecc.
Il calcolo dell’eccesso di mortalità però non è facilmente utilizzabile durante lo svolgimento di un evento sanitario (come la pandemia influenzale attualmente in corso) poiché necessita di un periodo di tempo più lungo e di un altro periodo di paragone che deve essere ben identificato e possibilmente privo di altre variabili che andrebbero a distorcere il risultato.
Ciò che viene fatto al giorno d’oggi e che ha grande risalto sulla stampa è, di fatto, una via di mezzo tra i due parametri. Se, infatti, viene preso in considerazione il numero di morti con isolamento virale per fornire una valutazione dell’impatto della pandemia, siamo di fronte a una forte sottostima del fenomeno, poiché il totale dei morti provocato in qualche modo dall’influenza è molto maggiore. Se, invece, si vuole ottenere un indice della gravità clinica della malattia, utilizzando il medesimo sistema si ottiene una sovrastima del fenomeno, dovuto al fatto che si contano anche i soggetti in cui l’influenza è solo una complicanza della grave patologia preesistente.
In ultimo, appare doveroso ricordare che i dati di letalità (numero di morti su numero di malati) pubblicati giornalmente sono soggetti a un’ulteriore distorsione, in quanto il numero di morti è calcolato come detto, mentre il numero di malati è calcolato utilizzando stime provenienti dal sistema di sorveglianza InfluNet, al quale, tuttavia, sono segnalati i casi di sindromi simil-influenzali (e non di influenza accertata). Dividendo il basso numero di soggetti morti per i quali è stato effettuato l’isolamento virale (anche se in molti casi la vera causa di morte è costituita da altre patologie) per l’altissimo numero soggetti con sintomi simil-influenzali risulta una letalità sicuramente sottostimata.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale dovrebbe essere la giusta metodologia per valutare i parametri epidemiologici della pandemia, incluso il numero di morti. Probabilmente, dipende dal contesto in cui queste cifre vengono utilizzate, tuttavia per avere una stima realistica è necessario utilizzare una metodologia più complessa. Prendendo esempio dai Cdc americani, le stime di incidenza, prevalenza e letalità vengono analizzate da esperti che utilizzano vari indicatori e li elaborano utilizzando, quando necessario, anche fattori di correzione. È anche possibile che le stime cambino e vengano corrette perchè nuovi elementi diventano disponibili: si tratta di un procedimento assolutamente corretto, a condizione che i dettagli metodologici vengano sempre descritti in modo accurato. Utilizzare stime elaborate con questa metodologia comporta però maggiori problemi di comunicazione. Un numero definito come totale dei morti (anche se sbagliato) fornisce un messaggio molto più rapido e facilmente utilizzabile. Una stima necessita di maggiori spiegazioni e anche di maggiore credibilità da parte della fonte. I Cdc, ad esempio, utilizzano un comunicatore autorevole e preparato dal punto di vista tecnico (il Direttore) e, per evitare il ricorso ad altre fonti, i rappresentanti dei mezzi di comunicazione vengono convocati frequentemente e periodicamente.



Riferimenti bibliografici

• WHO. Comparing deaths from pandemia and seasonal influenza. Pandemic (H1N1) 2009 briefing note 20 (ultimo accesso 23.12.09)
• CDC. H1N1-Related Deaths, Hospitalizations and Cases: Details of Extrapolations and Ranges: United States, Emerging Infections Program (EIP) Data (pdf 34 kb, ultimo accesso 23.12.09).

giovedì 31 dicembre 2009

Non dimentichiamo l'H5N1

Un errore da non commettere: dimenticare l'H5N1.
Ad aiutarci nel non abbassare la guardia ci pensa l'OMS, che ripropone il numero cumulativo dei casi di Influenza aviaria con i relativi decessi: i dati sono aggiornati al 30 dicembre 2009.
Colpisce particolarmente il case-fatality rate (CFR): 282 decessi su 487 casi per un CFR del 60%.
Degno di nota il differente CFR tra Indonesia ed Egitto che condividono il triste primato di essere i Paesi più colpiti dall'H5N1 nel corso del 2009, ma con un CFR completamente differente: 10% per l'Egitto contro il 95% dell'Indonesia.
Consiglio per gli Operatori di Sanità Pubblica: tenere alta la guardia!

lunedì 14 dicembre 2009

Aspettando la seconda ondata

Alcuni mi guardano sconcertati quando parlo loro di seconda ondata pandemica. Eppure a me sembra qualcosa di ovvio. Dovrei essere più cauto; dovrei aggiungere qualche "se" in più; forse dovrei moderare i toni con l'utilizzo di qualche condizionale.
Eppure ripeto: che in Italia si abbia una seconda ondata pandemica mi pare più una certezza che una possibilità.
Felice se ciò non accadesse, ovviamente!
Frieden, Direttore dei CDC, ha già avuto a che fare con due ondate pandemiche negli USA, quella estiva (giugno - luglio) e quella autunnale (ottobre-novembre). Dalle sue ultime parole si evince con chiarezza che i CDC si preparano ad una terza ondata. Dice Frieden:
"Noi stimiamo che ci siano stati circa 50 milioni di casi, per lo più tra i giovani adulti e i bambini. Più di 200.000 ospedalizzazioni... e, purtroppo, circa 10.000 decessi, tra cui 1100 decessi di bambini e 7500 decessi di giovani adulti... Questo significa che il 15% dell'intera popolazione è stata infettata dall'H1N1, cioè 1 su 6. Questi numeri indicano che molte persone non sono ancora state infettate e rimangono suscettibili alla nuova influenza. "
Da Google Flu Trends, la situazione in USA (la curva blu rappresenta l'attuale stagione influenzale, quelle più chiare rappresentano le curve stagionali degli anni passati):

Figura 1 - Attività influenzale in USA secondo Google Flu Trends (in blu: attività luglio-novembre 2009)


Paesi come l'Australia e la Nuova Zelanda hanno registrato un unico picco, durante il nostro periodo estivo (il loro inverno); in Nuova Zelanda l'influenza pare aver colpito più duramente che in Australia, nonostante le due nazioni condividano lo stesso emisfero e siano confinanti.

Figura 2 - Attività influenzale in Australia secondo Google Flu Trends (in blu: attività gennaio-novembre 2009)



Figura 3 - Attività influenzale in Nuova Zelanda secondo Google Flu Trends (in blu: attività gennaio-novembre 2009)



Poi ci sono le Nazioni come Francia e Spagna (Figura 4 e 5) che presentano andamenti simili a quello registrato in casa nostra (purtroppo per noi il sistema Flu Trends non è attivo per l'Italia).
Anche in Spagna sono state registrate due ondate. L'ondata autunnale spagnola ha ripercorso, in termini d'intensità, quella estiva. In Francia la situazione pare sovrapponibile a quella italiana: piccoli movimenti di attività in corrispondenza dei mesi estivi e seconda ondata ben più consistente in autunno.

Figura 4 - Attività influenzale in Francia secondo Google Flu Trends (in blu: attività luglio-novembre 2009)



Figura 5 - Attività influenzale in Spagna secondo Google Flu Trends (in blu: attività luglio-novembre 2009)


Infine ci sono i Paesi freddi, molto freddi. In Ucraina il trend è quello presentato in figura 6. Qui sembra che ad una prima consistente ondata autunnale (quella che ha fatto temere il peggio qualche settimana fa) ne faccia immediatamente seguito un'altra. Ovviamente è ancora troppo presto per esprimersi e attendiamo che passi qualche settimana per leggere meglio il fenomeno.

Figura 6 - Attività influenzale in Ucraina secondo Google Flu Trends (in blu: attività luglio-novembre 2009)


Sperando che nessuno soffra di mal di mare... qualche "italica" considerazione dalla visione di queste onde:
- In Italia, così come in molti altri Paesi, il tasso di attacco fin'ora registrato non può dirsi "pandemico". Se negli USA (dopo due ondate) il tasso d'attacco è del 15% in Italia (anche considerando i dati epidemiologici forniti dall'ISS) il tasso d'attacco non dovrebbe aver superato il 10% della popolazione totale.
- Quindi c'è popolazione non immune in abbondanza. Se il virus pandemico dovesse cominciare a circolare nuovamente e in modo sostenuto lungo la nostra penisola troverebbe di certo soggetti suscettibili all'infezione.
- Da che mondo è mondo i virus influenzali, alle nostre latitudini, circolano in maniera molto più sostenuta nei mesi invernali e stiamo procedendo rapidamente verso l'inverno, con la contestuale brusca riduzione delle temperature.
- Le misure di sanità pubblica adottate da un Paese hanno di sicuro la possibilità di incidere positivamente nel ritardare ed appiattire un'ondata influenzale. Purtroppo, in Italia, la bassa copertura vaccinale con vaccino pandemico non limiterà di un centimetro l'avanzata di una nuova ondata.
Credo che la Sanità Pubblica italiana faccia bene a non abbassare la guardia. Così come i cittadini italiani dovrebbero riflettere lungamente prima di considerare come inopportuna l'idea di vaccinare se stessi o i propri figli qualora se ne abbia la possibilità.

domenica 15 novembre 2009

FluNews n.2 - Settimana 45

In sintesi i dati relativi alla diffusione dell'influenza in Italia.
Tutti i dati sul secondo numero di FluNews, a cura del CNESPS dell'Istituto Superiore di Sanità.
• i nuovi casi stimati delle sindromi influenzali nella 45° settimana sono 736.000, per un totale di 1.526.000 casi a partire dall’inizio della sorveglianza Influnet (43° settimana: 19-25 ottobre)
• il valore dell’incidenza totale delle sindromi influenzali è pari a 12,27 casi per mille assistiti, in netto aumento rispetto alla settimana precedente (8,95 casi per mille assistiti)
• la fascia di età più colpita è quella pediatrica (0-14 anni), con un’incidenza pari a 36,40 casi per mille assistiti (26,15 per mille nella fascia dei bambini più piccoli di 0-4 anni e 41,65 per mille nella fascia 5-14 anni).

mercoledì 7 ottobre 2009

Andamento epidemiologico attuale

Dal blog Attraverso Questi Giorni:
NB: TUTTI I DATI, I GRAFICI E LE TABELLE NELLA LORO VERSIONE ORIGINALE POSSONO ESSERE VISUALIZZATI PRESSO IL SITO DEL CENTRO INTERUNIVERSITARIO PER LO STUDIO DELL'INFLUENZA (CIRI).

Durante la settimana di sorveglianza fino al 7 ottobre si nota un rapido incremento dell'attività delle sindromi di tipo influenzale fra la popolazione in età compresa fra gli zero e quattro anni, pari al 5,08 per mille assistiti (508 casi per centomila individui per quella fascia di età), mentre nella fascia 5-14 l'incidenza è aumentata all'1,89 per mille. L'incidenza registrata fra la popolazione di età superiore rimane sostanzialmente stabile o in lieve aumento. L'andamento complessivo delle sindromi di tipo influenzale denota un innalzamento progressivo dell'incidenza, a livelli simili a quelli attesi normalmente per il mese di novembre/dicembre. L'incidenza globale è pari 1,05 casi per mille abitanti, vale a dire che a livello nazionale si può ipotizzare un numero di pazienti uguale a 1,05*60 milioni/1.000=63.000 casi ILI durante la settimana in esame. Non tutti i casi ILI sono dovuti a infezioni da virus influenzale (pandemico e non); numerosi casi di malattie respiratorie con febbre sono riconducibili ad altri patogeni (virali o batterici) che nulla hanno a che vedere con l'influenza.

mercoledì 29 luglio 2009

Basta "giocare" con il case-fatality ratio

Ecco la nuova modalità di presentazione dei dati di diffusione pandemica da parte dell'OMS:
Pandemic (H1N1) 2009 - update 59.

I Paesi che hanno notificato il loro primo caso di influenza pandemica sono tra gli altri: Afghanistan, Andorra, Botswana, Haiti, le Isole Marshall, Seychelles, Isole Solomon, Sudan, Tonga, Tanzania... mentre i Paesi impegnati da settimane con la nuova influenza hanno smesso di contare i casi confermati. E visto che il numero dei decessi continuerà ad essere aggiornato con buona precisione, mentre il numero dei casi confermati sarà sempre più sottostimato, il caloroso invito è quello di smettere di valutare il rapporto tra decessi e casi accertati, a meno che non si voglia perdere la testa cercando di comprendere perchè in Argentina sono stati segnalati 165 morti su poco più di 3000 casi accertati? perchè in Spagna si contano 6 morti a fronte di 1538 casi confermati mentre in Germania su 3349 casi confermati non vi è neppure un decesso? perchè in Inghilterra ci sono 11000 casi e 30 decessi mentre in Canada si contano 10500 casi e 55 decessi? E soprattutto... quando arriverà il primo decesso in Italia (e come reagiranno gli italiani)?

martedì 2 giugno 2009

ECDC - Likely evolution of the epidemics/ pandemic of new A(H1N1) influenza

Degna di nota la presentazione che l'ECDC ha inserito nel proprio sito riguardante la possibile evoluzione delle epidemie/pandemia da nuovo virus influenale A/H1N1.
La presentazione sarà aggiornata regolarmente al fine di includere ogni nuova evidenza utile a comprendere la situazione. Sono riportate evidenze dalle ultime tre pandemie riguardanti il tasso di attacco clinico specifico per età, i tassi di mortalità e le curve epidemiche.
È inoltre discusso il metodo per determinare la severità di una pandemia prendendo in considerazione numerose variabili.

Likely evolution of the epidemics/ pandemic of new A(H1N1) influenza

martedì 12 maggio 2009

WHO - Assessing the severity of an influenza pandemic



Segnalo l'interessantissimo documento dell'OMS dal titolo "Assessing the severity of an influenza pandemic", pubblicato ieri, 11 maggio 2009.

(Traduco dalla sezione introduttiva...)
Il maggiore determinante della severità di una pandemia influenzale, misurata dal numero dei casi di malattia severa e conseguenti decessi, è il grado di virulenza del virus che la causa.
Tuttavia, molti altri fattori influenzano la complessiva severità dell'impatto di una pandemia.
Anche un virus pandemico che inizialmente sia causa di una leggera sintomatologia, in persone sane può essere pericoloso, soprattutto nelle odierne condizioni di alta mobilità e di società strettamente interdipendenti. Inoltre, lo stesso virus responsabile di forme lievi di malattia in un Paese può risultare responsabile di una più alta morbosità e mortalità in un altro.
Oltre a questo, l'intrinseca virulenza del virus può modificarsi nel tempo al passo della diffusione nazionale e internazionale della pandemia ad ondate successive.

Il documento focalizza l'attenzione sui vari fattori in grado di determinare la severità di una pandemia:
- Le caratteristiche del virus
- La vulnerabilità della popolazione
- La diffusione ad ondate successive
- La capacità di risposta
Il documento termina con la valutazione della situazione attuale. In sintesi è detto che il nuovo virus influenzale A/H1N1 mostra una maggiore contagiosità rispetto ai virus dell'influenza stagionale. Il tasso di attacco secondario dell'influenza stagionale varia dal 5% al 15%. Stime relative al tasso di attacco secondario del nuovo H1N1 variano dal 22% al 33%.
L'H1N1 tende a causare una malattia molto lieve. Con l'esclusione del Messico quasi tutti i casi di malattia e tutti i decessi si sono verificati in individui con concomitanti patologie croniche e la tendenza del virus di causare infezioni più severe in soggetti già malati preoccupa particolarmente.

Glossario - Tasso di attacco secondario: misura di frequenza di malattia tra i contatti che sono stati esposti ai casi primari; in altri termini è la % dei soggetti recettivi che si ammalano (casi secondari) a seguito dell'esposizione ai soggetti inizialmente infetti (casi primari).

lunedì 17 novembre 2008

Incredible Google!



Incredibile Google!
Non faccio in tempo a entusiasmarmi per una nuova funzione che subito ne scopro un'altra.
E questa volta mi riguarda e riguarda PandemItalia pienamente.
Si tratta di Google Flu Trends.
Il colosso statunitense ha scoperto che certi termini sono buoni indicatori dell'attività influenzale. La funzione Google Flu Trends usa dati aggregati di ricerca in Google per stimare l'attività dei virus influenzali, con una velocità tale da anticipare i tradizionali sistemi di sorveglianza di circa due settimane!
Per saperne di più invitiamo alla lettura qui. Inoltre ulteriori dettagli e maggiori informazioni possono essere trovate leggendo questo documento scritto da Google. Una successiva versione del lavoro è stata accettata dalla prestigiosa rivista Nature e sarà pubblicata prossimamente.
Leggi la notizia anche qui.
Grazie Google!

lunedì 6 ottobre 2008

Influenza stagionale: Fukuda fa chiarezza

Il CIDRAP ha pubblicato un commento da parte dell'esperto OMS per l'influenza Keiji Fukuda sulla insolita circolazione di informazioni sui media di mezzo mondo su una possibile prossima stagione influenzale severa. Fukuda si è detto sorpreso da questa diffusione di informazioni inesatte, e ne ha dato colpa alla cattiva interpretazione dei dati diffusi dall'OMS e da altre autorità sanitarie sulla composizione del vaccino inattivato trivalente per la stagione 2008/2009. Quest'anno infatti la composizione vaccinale differisce da quella della stagione precedente perchè contiene tre ceppi (A/H1N1/Brisbane5907, A/H3N2/Brisbane1007, e B) mai inclusi prima; inoltre quello di quest'anno è stato un raro caso: l'OMS ha consigliato alle case farmaceutiche di sostituire tutti e tre i ceppi contemporaneamente. Di solito infatti si consiglia la sostituzione di uno soltanto dei tre sottotipi a causa dell'emersione di varianti drift poco reattive nei confronti degli anticorpi prodotti dal vaccino. La stagione influenzale nell'emisfero meridionale non è stata fin'ora particolarmente severa, anche in rapporto all'anno 2007, quando estese epidemie si erano verificate in Australia e Nuova Zelanda. Inoltre varianti dei ceppi circolanti attualmente (e inclusi nel vaccino) sono state isolate durante l'inverno 2007/2008 in Europa e Nordamerica. A questo si deve aggiungere la consueta difficoltà a prevedere l'andamento delle epidemie stagionali, previsioni spesso rese inutili dall'improvviso emergere di varianti più o meno virulente rispetto a quanto atteso dagli esperti.

Nel frattempo sulla rivista Pediatrics è apparso uno studio sulla prevalenza delle ospedalizzazioni e sulla mortalità infantile dovuta all'influenza stagionale umana e sulla presenza di co-infezioni batteriche in USA (leggi qui). Mentre il numero di casi fatali infantili varia di anno in anno, in relazione alla virulenza dei virus circolanti, la prevalenza di coinfezioni da Stafilococco aureo e delle sue varianti antibiotico-resistenti (MRSA) pare incrementare, per cui secondo i ricercatori sarebbe opportuna una maggiore sensibilizzazione dei genitori e dei pediatri rispetto al trattamento precoce delle infezioni febbrili durante le epidemie stagionali, che possono avere gravi conseguenze per i piccoli pazienti.

In ultimo riportiamo i dati aggiornati OMS sulla prevalenza di varianti del sottotipo A(H1N1) resistenti al farmaco antivirale Oseltamvir. Continua ad essere rilevata la presenza della mutazione H274Y che rende inutilizzabile il farmaco, anche nei più recenti isolamenti nell'emisfero meridionale (Camerun, Ghana, Costa d'Avorio, Seychelles e Sud Africa con 100% di isolati H1N1 resistenti), Argentina, Cile, El Salvador, USA, Uruguay, Giordania, Norvegia (6 su 8 isolati resistenti), Russia (45%), UK, Australia (25 su 26 isolati resistenti), Nuova Caledonia, Nuova Zelanda (1 su 1 resistente), Filippine (10 su 11 resistenti), Singapore, Hong Kong (97 su 583 isolati H1N1 resistenti, pari al 17%). Complessivamente, durante il secondo quadrimestre del 2008 (al 22 settembre), su 931 virus H1N1 isolati, 324 sono risultati resistenti all'Oseltamivir (il 35%).

lunedì 8 ottobre 2007

H5N1 Update



Se da un lato non è nostra intenzione trasformare il blog in uno “strumento di cronaca nera”, riteniamo comunque utile aggiornare periodicamente il numero di decessi da H5N1, specie quando sussistono elementi di interesse epidemiologico correlati agli stessi.
Colgo quindi l’occasione per postare l’ultimo commento di Giuseppe Michieli, che, sulla base delle notizie di cronaca relative all’87esimo decesso in Indonesia, ci offre un interessante spunto di riflessione:

Anche se fino a questo momento un virus H5N1 trasmissibile in modo efficiente da uomo a uomo non è apparso, è chiaro che l'Indonesia ha bisogno urgente di aiuto internazionale, molto maggiore di quello che ha finora ottenuto. I casi umani registrati dal paese - che si estende su un arcipelago di migliaia di isole - sin dal 2005 sono ormai più di 100 (108 casi di cui 87 deceduti - quest'anno: 33 casi di cui 29 deceduti, tasso di letalità (2007): 88% - per paragone, in Egitto (2007): 20 casi, 5 decessi, cfr: 25%). Un paese con più di cento milioni di abitanti, affetto da malattie epidemiche come dengue, tubercolosi, malaria, dissenteria, HIV/AIDS, oltre che colpito da continui disastri come terremoti, alluvioni, valanghe, eruzioni vulcaniche, non riesce più a contenere la malattia aviaria nel pollame, una delle principali fonti proteiche per una popolazione molto spesso in cattive condizioni igieniche e alimentari. La necessità di mettere al centro della lotta alla pandemia influenzale che verrà questo paese è cruciale, sia per tentare di ridurre la mortalità che per prendere tempo qui da noi per prepararci meglio. Lasciare sola l'Indonesia significa mettersi tutti nelle sue condizioni.

Giuseppe ha ragione!

(Anche se l’Indonesia non ha sempre dimostrato di voler collaborare con chi le allungava la mano… )

Qui la notizia della 87esima vittima indonesiana.

Altri post relativi alla situazione indonesiana (7 agosto 18 agosto).

martedì 21 agosto 2007

H5N1 – 200 morti, CFR = 58%


Con l’ultimo decesso avvenuto in Indonesia si è raggiunta quota 200 casi (dal 2003).

Quello che gli anglossassoni definiscono CFR o Case Fatality Ratio, ovvero la semplice proporzione tra i decessi per influenza aviaria e il totale dei casi umani diagnosticati affetti da H5N1, si è attestato su un valore di circa 0,60; esprimendo in percentuale lo stesso indicatore potremmo dire che il 60% delle persone dichiarate infette sono decedute.


Fino a qualche tempo fa l’opinione diffusa era quella di ricercatori come la dott.ssa Thorson o il dott. Cox , convinti che il CFR fosse sovrastimato, giustificando tale affermazione con la considerazione di un possibile numero di soggetti infetti ma asintomatici e quindi non inclusi nel denominatore.
Da qualche tempo quella convinzione non è più una certezza.
Rapeepan Dejpichai, medico del Ministero della Salute Tailandese, ha presentato a Toronto risultati che andrebbero nella direzione opposta:

In estrema sintesi ecco i risultati presentati:
- Sono state studiate 901 persone, abitanti nelle zone in cui si sono registrati decessi umani da influenza aviaria;
- Il 68.1% ha dichiarato di aver avuto contatti con Il pollame;
- Il 33.3% ha dichiarato di essere venuto in contatto con polli malati o morti senza utilizzare alcuna protezione;
- Il 7.1% ha dichiarato di aver avuto contatti con le persone risultate infette;
- Tutti i partecipanti allo studio sono risultati sieronegativi nei confronti degli anticorpi anti-H5N1

Questi risultati ci comunicano buone e cattive notizie.
La buona notizia è che il Virus H5N1 non si trasmette facilmente dagli animali all’uomo, né tantomeno da uomo a uomo. Infatti, a fronte delle alte percentuali di persone che hanno avuto comportamenti a rischio, nessuno è risultato infetto.
La cattiva notizia si ricollega a quello di cui stavamo precedentemente discutendo: nei 901 partecipanti allo studio non possono essere descritti casi di persone infettate senza aver riportato sintomi.
Quindi un CFR del 60% potrebbe non essere sovrastimato come si è sempre pensato.

venerdì 10 agosto 2007

H5N1 in Australia: nessun caso umano e qualche considerazione epidemiologica

Falso allarme...
Ethan Ioannou, bambino di cinque anni deceduto a Melbourne, è morto per gli esiti della comune influenza stagionale che sta colpendo l'Australia.
Poco dopo la morte del bambino erano state effettuate tutte le indagine per escludere che si trattasse di H5N1. I risultati hanno confermato che la causa del decesso non è da ricercare in un virus influenzale aviario ma nel comune virus influenzale attualmente circolante in Australia.
Le giovani vittime australiane dell'influenza stagionale salgono a 5. Tre nel mese di luglio e un caso nei primi giorni del mese di agosto. A questi si somma il caso di Ethan, ultima piccola vittima.
L'autorità sanitaria di Melbourne ha dichiarato che attualmente non si può parlare di epidemia influenzale. I casi notificati quest'anno sono 260 contro i 245 casi del 2006 e i 442 del 2005. Quindi c'è stato un lieve incremento rispetto all'anno precedente ma si rimane nella comune variazione stagionale che ci si attende da un anno all'altro.
Il direttore della Scuola di Cure Primarie della Monash University, Professor Leon Piterman, ha dichiarato: "Le morti correlate all'influenza capitano e sono preoccupanti ma sono eventi rari. I genitori dovrebbero essere allertati ma non dovrebbero essere preoccupati che possa accadere".
"Nella morte improvvisa per un problema cardiaco, se un bambino presenta un quadro clinico non critico, è molto difficile prevedere che nel giro di poche orae la situazione andrà deteriorandosi".
Il Prof Piterman ha inoltre concluso dicendo che i bambini con asma sono maggiormente suscettibili all'infezione virale ma ha ribadito che le epidemie influenzali occorrono ogni anno e purtroppo capita che si verifichino casi peggiori di altri.

Le parole del Prof Piterman e i cinque casi australiani mi danno lo spunto per alcune considerazioni epidemiologiche sull'influenza.

Durante le epidemie di influenza i più colpiti sono i bambini in età scolare e si verifica con frequenza il contagio secondario degli adulti e degli altri bambini nell'ambito del nucleo familiare (non è un caso che la sorellina di Ethan si sia ammalata, fortunatamente senza gravi conseguenze).
La frequenza dell'infezione nei bambini sani è stata stimata del 10-40% all'anno. Circa l'1% di queste infezioni può richiedere un ricovero. Il rischio più grave è che l'infezione si estenda alle basse vie respiratorie sotto forma di bronchiolite o polmonite. Questo rischio è stimato fra lo 0,2 e il 25%. Nei bambini con meno di 5 anni è documentato che l'influenza comporta un aumento dei ricoveri, con frequenza più elevata in bambini sotto i due anni.
In generale la mortalità associata alle complicanze dell'influenza come bronchite e polmonite è più elevata nei pazienti con:
  • emoglobinopatie
  • displasia broncopolmonare
  • asma
  • fibrosi cistica
  • tumori
  • diabete mellito
  • malattia renale cronica
  • cardiopatia congenita
Anche gli anziani sono soggetti alle conseguenze peggiori dell'influenza.
Non è un caso che la vaccinazione anti-influenzale sia ogni anno gratuita per gli anziani sopra i 65 anni e per i soggetti con patologia cronica (tutte quelle segnalate sopra sono malattie croniche).

sabato 23 giugno 2007

Le Pandemie influenzali esistono!

Dimenticatevi per un attimo che io sia impegnato nella divulgazione di notizie sulla preparazione ad un evento pandemico.
Ora cercate di dimenticare le storie “no-global”, “anti-vaccino”, “anti-antivirali”, “anti-multinazionali del farmaco” che avete letto ripetutamente sui giornali e in internet. Mi rendo conto che quando si parla di argomenti complessi è più facile essere contro a priori, che non cercare di comprendere con logica e intelligenza che la complessità è un poliedro dalle 1000 facce e ogni faccia è un aspetto differente e ci vuole molto tempo per confrontarsi con i 1000 aspetti diversi che prima di informarti ignoravi esistessero.
Potrei scrivere un elenco di 1000 aspetti che fanno di una pandemia influenzale un evento complesso, ma mi ci vorrebbe tantissimo tempo e preferisco evitare.
Preferisco allora fare il primo passo lasciando a chiunque legga i passi successivi. Il primo passo è il passo più logico al mondo. Dimostrare che una pandemia influenzale è un rischio concreto e non un’abile invenzione.
Non mi occorrerà molto. Una dimostrazione in quattro punti.

Punto 1: I virus influenzali mutano!
Ogni anno lo viviamo sulla nostra pelle. Il virus influenzale non è un virus fantasma. È ben conosciuto; i meccanismi microbiologici alla base delle frequenti mutazioni sono ben noti. Non c’è trucco e non c’è inganno! Chi si vaccina oggi non sarà protetto il prossimo anno, per il semplice fatto che i virus influenzali in circolazione saranno diversi e il nostro sistema immunitario non sarà in grado di riconoscerli completamente. Se poi qualcuno pensa che la microbiologia del virus influenzale è un complotto ordito dalle case farmaceutiche per produrre ogni anno nuovi vaccini… non è un mio problema.

Punto 2: Le pandemie non sono invenzioni!
Quando i virus influenzali sono mutati a tal punto da essere in grado di infettare l’uomo, trasmettersi da persona a persona ed essere tanto diversi dai precedenti da trovare la popolazione mondiale priva di difese immunitarie, si sono verificate epidemie su scala mondiale. È nel linguaggio scientifico ed è ormai una consolidata convenzione: quando una malattia infettiva non rimane limitata ad un luogo ma si espande in tutto il mondo si parla di pandemia. La pandemia è quindi un’epidemia su scala mondiale. Quando ci si accorge di una epidemia? Quando si rileva un numero di casi (persone infette, morte etc…) superiore al numero di casi attesi. È ovvio che ogni anno in giro per il mondo si contano centinaia di migliaia di persone infettate dai virus influenzali umani circolanti. È altrettanto ovvio che ogni anno muoiono migliaia di persone per influenza, soprattutto anziani.
Ma quando accade che l’eccesso di mortalità per polmonite e influenza è raddoppiato rispetto agli altri anni allora sta succedendo qualcosa. Ti chiedi: cosa è cambiato? Fai i tuoi rilevamenti e scopri che il virus che infetta le persone è un virus nuovo, differente da quelli precedentemente circolanti. Ti guardi intorno e scopri che in tutto il mondo si registra un eccesso di casi. È Pandemia!
Al termine della pandemia ti chiedi quanti morti per polmonite e influenza si possano contare e scopri che fra i soggetti anziani (sopra i 65 anni) l’eccesso di mortalità è raddoppiato rispetto agli altri anni; che fra i ragazzi di età compresa fra 0 e 14 anni il numero di morti è sette volte superiore rispetto agli altri anni; che in tutta la popolazione sotto i 65 anni c’è stato un eccesso di mortalità tre volte superiore rispetto a quella registrata negli anni caratterizzati dal ricorrere delle normali influenze stagionali.
Non ho inventato nulla; mi sono limitato a descrivere i dati italiani della pandemia influenzale del 1968 che, peraltro, è stata una pandemia ad impatto lieve rispetto a quelle precedenti del 1918 e del 1957.

Punto 3: A volte ritornano!
Nello scorso secolo si sono registrati tre eventi pandemici. Se si considera che la pandemia precedente a quella del 1918 si verificò nel 1889 possiamo, con un semplice calcolo matematico, stabilire che le pandemie intercorse nell’ultimo secolo si verificarono a 29 – 39 – 11 anni di distanza l’una dall’altra. Potremmo anche parlare di un periodo interpandemico medio di 26 anni, un tempo mediano di 29 e valori estremi di 11 e 39 anni. Il succo del discorso è ben comprensibile da chiunque.
Sono passati 39 anni dall’ultima pandemia ed è lecito cominciare a prepararsi per un evento che potrebbe verificarsi anche a breve termine.

Punto 4: Non ho alcun conflitto di interesse.
Se scrivo queste cose, ma non credo che possa essere considerato un conflitto di interesse, è perché sono un medico di sanità pubblica che si occupa di prevenzione e mi preoccupo che chiunque, dal medico al parrucchiere, abbia una corretta percezione del problema.

Invito chiunque lo desideri a confutare queste affermazioni o ad aggiungere punti alla mia dimostrazione!

domenica 10 giugno 2007

Influenza aviaria: in Egitto le vittime salgono a 15

Roma, 9 giu. - Sono salite a 15 le vittime dell'influenza aviaria in Egitto. Una bimba di 10 anni è morta oggi, dopo aver contratto il virus da animali domestici infetti. Lo ha confermato il ministro della Salute del Paese arabo. La piccola ha cominciato a sentirsi male all'inizio di giugno, ma è stata ricoverata solo dopo una settimana, togliendo tempo prezioso alle terapie attuabili. Dall'inizio del 2006, quando l'H5N1 è stato individuato per la prima volta negli allevamenti egiziani, 35 persone si sono ammalate. Numeri che ne fanno il Paese più colpito al di fuori dell'Asia.
Fonte: Adnkronos/Adnkronos Salute

Colgo l'occasione per riportare i dati epidemiologici relativi ai casi umani di influenza aviaria aggiornati al 6 giugno 2007 (Fonte OMS).

venerdì 25 maggio 2007

John Snow sulla pandemia influenzale


John Snow (1813-1858) è oggi considerato il padre dell’epidemiologia moderna.
Metodico osservatore, curioso, coraggioso, dotato di notevole capacità di analisi e di spirito critico a volontà. Per primo, ipotizzò che per il colera il contagio fosse dovuto ai “germi” contenuti nell’acqua da bere (e provenienti a loro volta dagli escrementi di persone infette). Molto prima che l’organismo responsabile del colera fosse identificato e isolato, Snow riuscì a dare credibilità a questa teoria, producendo prove più che convincenti in occasione dell’ennesima epidemia di colera che colpì Londra nel 1854.
Il centro dell’epidemia era il quartiere di Soho. A John Snow venne l’idea di raccogliere accuratamente i dati di tutti i casi di colera occorsi nell’ultimo periodo, e di riportarli sulla mappa del quartiere.

Le evidenze erano inconfutabili e nella mattina dell’8 settembre 1854 John Snow ottenne la rimozione della maniglia della pompa incriminata. Il numero di casi cominciò a diminuire e nel giro di una settimana la zona venne dichiarata “risanata” dall’epidemia.


Di recente sono stato a Londra e non mi sono fatto sfuggire l’occasione di visitare il quartiere di Soho, raggiungere l’incrocio tra Poland Street e Broadwick Street, entrare nel mitico “John Snow Pub” Chissà cosa penserebbe lui dell’epidemiologia moderna!? Chissà che idea si farebbe della Sanità Pubblica attuale!? E chissà come affronterebbe il problema dell’ influenza aviaria e della pandemia influenzale…
Peccato che Rothman, nella sua “intervista impossibile” (Rothman, K.J. My interview with John Snow. Epidemiology 15(5): 640-4, 2004.), abbia tralasciato di chiedergli proprio questo.
Se solo potessi chiedergli cosa pensa delle strategie internazionali, nazionali e locali; se potessi chiedergli un consiglio. Probabilmente con i suoi modi garbati, con la convinzione e la forte determinazione che lo ha contraddistinto nel suo lavoro mi direbbe… “Fate poche cose ma fatele bene.”
Poi, magari, aggiungerebbe… “Non perdetevi in chiacchiere, le cose che devono essere fatte le conoscete… preparatevi a farle bene. Ma rimanete ancorati alla realtà… ricordate che le troppe risorse finalizzate ad un evento probabile sono inaccettabilmente distolte al controllo degli eventi certi”.
Nel dirmi questo avrebbe sicuramente il pensiero rivolto alle patologie prevenibili ad alta prevalenza ed alto impatto per la popolazione che ogni giorno mietono vittime e producono sofferenza evitabile.
Chissà...