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martedì 16 ottobre 2012

Risk = Hazard + Outrage

Questa è la formula che ha reso celebre Peter Sandman, uno dei più grandi esperti di comunicazione del rischio a livello mondiale. Il Dott. Sandman ci ha insegnato che quando si affronta un rischio, di qualsiasi natura esso sia, si è di fronte ad un evento che si caratterizza per due aspetti, da un lato "l'hazard", ovvero il pericolo che quel rischio rappresenta, in poche parole quanti danni è verosimile che faccia se si presenta realmente; dall'altro lato c'è "l'Outrage", che letteralmente potrebbe essere tradotto come "oltraggio", ma anche "indignazione" o addiritura "attentato" ed è il livello di sconvolgimento che un rischio produce nella mente delle persone.
È esperienza comune, per chi si è impegnato nella comunicazione del rischio, notare la bassissima correlazione tra il reale pericolo collegato al rischio (hazard) e l'outrage che tale rischio determina.
Recentemente abbiamo parlato di Precaution Advocacy, ovvero quella forma di comunicazione necessaria quando la popolazione si disinteressa di un rischio (basso outrage) ma quel rischio è pericoloso (alto hazard).
Al contrario può accadere che un rischio sia fortemente sentito dalla popolazione (alto outrage) ma che non rappresenti un reale pericolo per la salute (basso hazard) e in questo caso dobbiamo contare su quanto viene descritto come "Outrage management". Mentre in alcuni casi può capitare che hazard e outrage siano entrambi alti e in questo caso è necessario adottare le tecniche della Crisis Communication.
Ogni evento dunque va valutato caso per caso... e dopo la "diagnosi" è doveroso usare le più coerenti tecniche di comunicazione... ad ogni "malattia" la sua "cura". Troppo spesso purtroppo accade che ci si appiattisca su una determinata forma di comunicazione, in modo del tutto inappropriato. In passato abbiamo già parlato di questo tipo di errori.
Se volessimo continuare a utilizzare il paragone col mondo clinico... è come se un medico prescrivesse una terapia casuale, senza aver fatto diagnosi, senza capire quali sono i reali bisogni del paziente, non sarebbe solo inopportuno, sarebbe dannoso.
Il messaggio chiaro dunque è il seguente: siamo di fronte ad un evento o un rischio che necessità di strategie comunicative? Il primo passo da fare è comprendere che tipo di rischio esso sia e che tipo di comunicazione debba essere messa in atto, ponendo al centro della nostra attenzione i reali bisogni delle persone, costruendo attorno a questi i nostri obiettivi comunicativi. Non facile. Forse è questo il motivo per cui spesso e volentieri la comunicazione si improvvisa e forse è questo il motivo per cui spesso la comunicazione fallisce.

lunedì 15 ottobre 2012

Precaution advocacy

Quando emerge un rischio serio per la popolazione ma le persone sono disinteressate al problema, l'obiettivo della comunicazione del rischio è quello di suscitare maggiore interesse e generare un maggior coinvolgimento.
Questa è la cosiddetta Precaution Advocacy, ben spiegata da Peter Sandman nelle lunghe pagine del suo sito internet.

lunedì 28 giugno 2010

Letteratura scientifica: The price of poor pandemic communication

Il titolo dell'articolo di Thomas Abraham, recentemente pubblicato sul BMJ, dice tutto.
Interessante la considerazione introduttiva: "Il principale fallimento è stato questo: invece di utilizzare i principi e i metodi della comunicazione del rischio per facilitare la comprensione dei rischi di una pandemia influenzale nell'opinione pubblica gli esperti e i responsabili delle politiche sanitarie hanno usato un'altra forma di comunicazione, l'advocacy, che è finalizzata non tanto a facilitare la comprensione ma a convincere la popolazione a fare determinate azioni".
Consiglio la lettura dell'articolo (in lingua inglese): interessante.

Abraham T. The price of poor pandemic communication. BMJ 2010;340:c2952.