venerdì 9 ottobre 2009

Hospitalized Patients with 2009 H1N1 Influenza in the United States, April–June 2009

Sul New England Journal of Medicine è apparso oggi un articolo sui casi ospedalizzati in USA. Fra i casi riportati nello studio, un terzo di quelli ricoverati in terapia intensiva ha sviluppato ARDS (sindrome da stress respiratorio acuto), riferibile in parte probabilmente a invasione diretta da parte del virus H1N1 2009 delle basse vie respiratorie. Secondo uno studio australiano e neozelandese pubblicato sulla stessa rivista, sui circa 700 pazienti ricoverati in terapia intensiva, la metà aveva una pneumonite virale primaria e/o ARDS, mentre il 20% aveva una co-infezione batterica.Per quanto riguarda i pazienti USA, oltre il 70% aveva una storia clinica di pregresse patologie croniche (asma, diabete, disordine cronico ostruttivo polmonare, immunosoppressione, malattia del cuore, rene o epatiche). In pratica, se il quadro clinico dell'infezione da virus H1N1 2009 è per la stragrande maggioranza dei casi benigno e auto-limitante, una porzione piccola ma non indifferente sviluppa complicanze gravi che necessitano interventi invasivi in rianimazione, con saturazione delle terapie intensive e assorbimento di personale e risorse.Quale sia il ruolo della citochinemia nello sviluppo dell'ARDS nel quadro dell'infezione da H1N1 2009, rimane da stabilirsi. Quello che appare sicura è la pressione sulle strutture sanitarie e sulla società nel suo complesso dato che la maggior parte dei casi gravi è concentrata fra i giovani con meno di 18 anni e in quelli fra 25-60 anni, in età lavorativa. L'utilizzo degli antivirali precocemente pare migliorare la prognosi. Una rapida implementazione di una immunizzazione fra le fascie di popolazione a maggior rischio è cruciale nella prospettiva di ridurre i costi sociali, umani ed economici di questa pandemia.

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1 commento:

nic ha detto...

Riprendo dal post di Giuseppe:
"L'utilizzo degli antivirali precocemente pare migliorare la prognosi". In aeffetti l'assunzione degli antivirali (oseltamivir, zanamivir) andrebbe cominciata -a quanto mi risulta- entro le prime 48 ore dalla manifestazione dei sintomi, per avere efficacia.
In realtà, però, ciò che sta avvenendo è tutt'altro; correggetemi se sbaglio: gli antivirali vengono somministrati solo negli ospedali e quindi solo su pazienti il cui quadro clinico sia già aggravato abbastanza da richiedere il ricovero, quindi -presumibilmente- dopo le suddette 48 ore.
In generale, invece, l'uso degli antivirali ai primi sintomi di influenza non è consigliato, quando non viene esplicitamente scoraggiato per non facilitare la creazione di varianti di virus resistenti a tali principi attivi.
Per quanto riguarda poi i pazienti in età pediatrica non spedalizzati il problema non sembra neanche porsi, visto che, come denunciato dall'Associazione Pediatri nel documento che segnalavo in precedenza, gli antivirali in dose adeguata non si trovano neanche in commercio.
Ma se uno di noi avesse domani tipici sintomi influenzali, pur nell'ovvia impossibilità di una diagnosi certa di virus AH1N1v, non sarebbe individualmente la scelta più saggia spararsi subito una dose di Tamiflu (ammesso e non concesso di riuscire a reperirlo? Non parlo del Relenza, inarrivabile ai più!). Rispondetemi sinceramente! Un saluto,
Nic - Firenze