sabato 1 settembre 2007

Isolamento e quarantena coatti in caso di pandemia

Recentemente il New England Journal of Medicine ha pubblicato un articolo su potere legale e diritti legali (Parmet, 2007). L’articolo prende in considerazione il caso, apparso anche sui giornali italiani, del malato di TBC multiresistente che, pur consapevole del proprio stato, ha attraversato numerosi paesi europei tra cui l’Italia.
In breve, il soggetto è venuto in Europa per sposarsi e, a Roma, è stato raggiunto dalla telefonata dei sanitari dei CDC che gli comunicavano i risultati degli esami di laboratorio che evidenziavano una TBC estensivamente multiresistente. Consigliato di restare fermo in attesa di istruzioni, per la paura di essere ricoverato in un ospedale italiano, l’interessato fuggiva a Praga e da lì in Canada, rientrando negli Stati Uniti in auto. Tutto questo perchè, negli Stati Uniti, esiste un elenco di soggetti che non possono essere accolti sugli aerei (no-fly list) non applicabile fuori del territorio statunitense. Anche il passaggio della frontiera con il Canada è avvenuto malgrado la segnalazione alle autorità di confine. Negli Stati Uniti l’interessato è stato rintracciato e sottoposto a provvedimento restrittivo secondo una modalità mai utilizzata negli ultimi 40 anni.
I mezzi di comunicazione si sono interessati al problema creando un notevole stato di ansia nella popolazione e aprendo un dibattito scientifico sull’argomento.
L’autrice dell’articolo per prima cosa puntualizza i termini isolamento e quarantena: il primo riguarda i malati contagiosi e il secondo i contatti ancora sani dei malati. Entrambi i provvedimenti possono essere volontari o coercitivi: ad esempio durante l’epidemia di SARS in Asia la quarantena è stata utilizzata anche in modo coercitivo.
Dal punto di vista legale, la restrizione della libertà individuale da parte delle autorità sanitarie per motivi di salute pubblica è stata ampiamente accettata in passato negli Stati Uniti. Un esame storico dell’utilizzo di questi provvedimenti ha però messo in luce notevoli disuguaglianze nella loro applicazione: in particolare, questi provvedimenti hanno colpito prevalentemente la popolazione nera e i senza casa anche se, effettivamente, questi hanno rappresentato spesso la popolazione meno disposta a collaborare con le autorità, rendendo la misura più necessaria.
In tempi più recenti, le corti americane hanno manifestato la tendenza a tutelare di più gli individui, specificando che i provvedimenti restrittivi possono essere presi solo quando non esiste alcun altro mezzo per tutelare la collettività e identificando questo solo con la mancanza di collaborazione da parte del paziente. Ovviamente il giudizio diventa in questo modo molto più soggettivo e difficile da applicare.
Nel caso clinico citato dall’articolo, è anche emerso che ulteriori indagini hanno poi dimostrato che la prima diagnosi era sbagliata e che la TBC era multiresistente, ma non estensivamente multiresistente e che quindi le restrizioni potevano essere, almeno in parte, evitate. Questo è un ulteriore argomento a favore delle cautele nell’impiego di provvedimenti restrittivi.
Infine, viene discussa l’efficacia di tali provvedimenti considerando che l’eventuale successo è legato alla tempestività e alle corrette modalità della sua attuazione, ma che in ogni caso la diffusione della malattia non può essere evitata.
L’articolo conclude sollevando molti dubbi sull’efficacia del provvedimento utilizzato in modo coercitivo sottolineando l’importanza del rapporto di collaborazione da parte del paziente.
Le argomentazioni discusse valgono sicuramente per la TBC estensivamente resistente, una delle malattie infettive più pericolose attualmente in circolazione, ma sono applicabili anche ad altre patologie infettive come la SARS, l’AIDS o l’influenza pandemica. Per quanto riguarda l’AIDS, il problema è dato dalla durata del periodo di infettività che renderebbe i provvedimenti restrittivi molto lunghi e quindi difficili da controllare; tuttavia il problema esiste in quanto è noto che alcuni soggetti hanno deliberatamente infettato numerose persone nascondendo il loro stato.
Nel caso dell’influenza pandemica è ragionevole pensare ad un ipotetico effetto positivo solo nelle prime fasi, ovvero in quel momento (uno o due mesi al massimo) in cui è teoricamente possibile ritardare la diffusione del virus in una nazione o in una collettività.
E’ comunque difficile pensare all’uso di provvedimenti restrittivi coatti in una pandemia in quanto, per un uso efficace di questo provvedimento, è necessario: avere un sistema di diagnosi rapida particolarmente efficace, essere in grado di definire molto chiaramente i criteri di collaborazione o non collaborazione da parte del paziente, avere la possibilità di attivare un sistema di restrizione in modo rapido ed efficace, mantenere il controllo della situazione.
E’ facile immaginare invece come, in questa fase della pandemia, la pressione da parte dei mezzi di comunicazione di massa e lo stato di ansia della popolazione possa interferire in modo consistente sull’uso di queste misure. Da un lato, la paura potrebbe favorire la collaborazione rendendo inutile l’uso della coercizione ma, dall’altro, essendo questi provvedimenti visibili e sicuramente divulgati, aumenterebbero l’ansia e la confusione, in cambio di un’efficacia decisamente dubbia.
In conclusione, sembra opportuno che i servizi di sanità pubblica siano comunque preparati ad utilizzare questi mezzi che potrebbero avere un ruolo determinante in alcune malattie infettive (TBC multiresistente, febbri emorragiche, AIDS, SARS, ecc.). Questo significa disporre già di protocolli e contatti consolidati in modo da non perdere tempo in caso di necessità.
Nel caso dell’influenza pandemica, sembra invece ragionevole riservare questa procedura a situazioni eccezionali, utilizzando le risorse disponibili per provvedimenti di efficacia maggiormente dimostrata.

Bibliografia:
Parmet WE. Legal power and legal rights – isolation and quarantine in the case of drug-resistant tuberculosis. NEJM 357;5, 433-435, 2007

1 commento:

Daniel Fiacchini ha detto...

Due considerazioni:
1. Come operatori sanitari interessati nelle azioni di comunicazione collegate alla pandemia influenzale (alle malattie infettive in generale): non possiamo dimenticare di prendere in considerazione questi aspetti e ricercare la collaborazione della popolazione sin da subito.
2. Come cittadini: dovremmo abituarci ad entrare in questo ordine di idee, in ogni momento potrebbe esserci richiesto di rimanere confinati nelle nostre case... siamo preparati ad accettarlo?