mercoledì 4 luglio 2007

A scuola di pandemie: La lezione del 1918



Nel settembre del 1918 la seconda ondata di influenza pandemica si stava propagando attraverso l’America. Negli Stati Uniti le basi militari furono duramente colpite.
Ho tradotto parte di una lettera scritta da un medico dell’esercito recentemente reclutato alla base militare di Camp Devens nel Massachusetts.
La lettera venne ritrovata nel 1959 e per la prima volta pubblicata il 22 dicembre del 1979 dal British Medical Journal.

Mio caro Burt,
è più che probabile che tu sia interessato ad avere notizie su questo posto, visto che c’è la possibilità che tu venga assegnato qui per il servizio, così, avendo un minuto tra i vari giri, cercherò di spiegarti un po’ la situazione, così come l’ho vissuta nell’ultima settimana.

Come sai non ho visto molte polmoniti negli ultimi anni a Detroit, così quando sono arrivato qui mi sono sentito arretrato rispetto alle finezze nel fare diagnosi complesse tipiche dell’esercito. Inoltre, come se non bastasse, nell’ultima settimana si è riacutizzato il mio vecchio “orecchio marcio”, come lo chiama Artie Ogle, e non ho potuto usare per nulla lo stetoscopio ma ho dovuto fare affidamento sulla mia capacità di individuarle attraverso la mia generale conoscenza delle polmoniti. Ho fatto abbastanza bene, poi alla fine ho trovato un vecchio fonendoscopio che ho rimesso insieme e da quel momento le cose sono andate bene […].
Camp Devens è vicino Boston e ha circa 50.000 uomini, o aveva prima che questa epidemia scoppiasse […]. Questa epidemia è cominciata circa quattro settimane fa e si è sviluppata così rapidamente che il campo è demoralizzato, tutto il lavoro ordinario è bloccato fino a quando la situazione non si risolverà. Tutte le adunanze dei soldati sono state vietate.

Questi uomini presentano all’inizio quello che appare essere un comune attacco di influenza, poi quando vengono portati all’ospedale sviluppano molto rapidamente il tipo di polmonite più essudativa che io abbia mai visto. Due ore dopo l’ammissione presentano macchie color mogano sopra le ossa del volto e poche ore dopo la cianosi comincia ad estendersi dalle orecchie e si diffonde su tutta la faccia fino a quando diventa difficile distinguere gli uomini di colore dai bianchi. È solo una questione di ore fino a quando la morte sopraggiunge ed è semplicemente un combattimento per l’aria fino al soffocamento. È orribile. Uno può vedere uno, due o anche venti uomini morire, ma assistere questi poveri diavoli che cadono come mosche è snervante. Abbiamo contato circa 100 morti al giorno e stiamo continuando a tenere il conto. Io non ho dubbi, siamo di fronte ad una nuova infezione mista, ma non so dire di cosa si tratti. Tutto il mio tempo è speso per ricercare i rumori, rumori secchi o umidi, sibilanti o crepitanti o qualsiasi altra delle centinaia di cose che uno può riscontrare in un polmone, tutto significa una cosa sola - Polmonite - e questo significa morte in quasi tutti i casi […].

Abbiamo perso un esorbitante numero di infermieri e dottori e la piccola cittadina di Ayer è una visione. Treni speciali vengono utilizzati per trasportare via i morti. Per molti giorni sono mancate le casse da morto e i corpi sono stati ammassati selvaggiamente, noi eravamo soliti andare all’obitorio (che si trova proprio di fronte al mio reparto) e guardare i ragazzi distesi in lunghe fila. Batte qualsiasi visione abbiano mai avuto in Francia dopo una battaglia […]. Non abbiamo riposo, ti alzi la mattina alle 5.30 e lavori di continuo fino alle 9.30 di sera, ti addormenti e poi ricominci da capo. Alcuni fra gli uomini naturalmente sono stati qui tutto il tempo e sono STANCHI.

Se questa lettera sembra in qualche cosa disconnessa non farci caso, mentre scrivevo sono stato chiamato una dozzina di volte, l’ultima volta appena adesso dall’Ufficiale di Giornata che è entrato per dirmi che non hanno ancora trovato in nessuna autopsia alcun caso che vada oltre lo stadio di epatizzazione rossa. Li uccide prima che arrivino fino a quel punto.
(La lettera prosegue fino ai saluti)

Questa lettera è importante. Descrive con chiarezza e semplicità il rapido decorso della malattia, la grande differenza tra l’influenza pandemica e le comuni influenze stagionali e l’alto tasso di letalità della malattia.
La pandemia del 1918 è considerata di eccezionale entità. Si stima che nel mondo provocò dai 40 ai 50 milioni di morti.
Quando accenno al pericolo che una nuova pandemia riproponga l’impatto della grande pandemia del 1918 gran parte delle persone con cui parlo obiettano che nel 1918 le condizioni igienico sanitarie dovevano essere diverse da quelle attuali e che l’avanzamento della scienza medica in campo terapeutico rende impossibile pensare che una pandemia severa come quella del 1918 abbia oggi lo stesso impatto.
Ma la storia ci insegna una lezione differente:
- Non sono le condizioni di chi viene infettato a preoccupare ma la virulenza del ceppo pandemico. Un virus pandemico altamente virulento non guarda in faccia a nessuno. Nei campi militari morirono soldati americani, presumo si trattasse di giovani uomini in piena salute.
- Il virus infettò molti e uccise nel giro di poche ore. Mi chiedo come si possa fronteggiare un virus simile con le attuali capacità assistenziali. Abbiamo quasi 100 anni di scienza alle spalle, abbiamo le terapie intensive, abbiamo i respiratori meccanici, ma se la richiesta di assistenza fosse elevata le tecnologie a disposizione sarebbero comunque inadeguate.
Quello che a mio parere rende veramente differente il mondo attuale da quello del 1918 sono i vaccini e la possibilità, per la prima volta nella storia dell’umanità, di essere preparati ad affrontare il peggio.

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