Nel corso dell'evento pandemico da nuovo virus influenzale A/H1N1 2009v si sono aggiunti gli interessanti contributi di altri blogger.
Segnalo due interessanti blog:
il primo è quello di Marcello Pucciarelli: Pandemica A(H1N1).
il secondo è quello di Claudia Grisanti: Swine flu in Italy. Dallo scarno profilo utente di blogger capiamo poco, ma una cosa importante si comprende: Claudia è una giornalista. E sta facendo un ottimo lavoro, basti pensare che nel giro di pochi mesi dalla sua creazione il blog Swine flu in Italy è già la fonte di riferimento italiana per l'importante blog H5N1.
Complimenti ad entrambi per l'ottimo lavoro svolto e buon proseguimento!
lunedì 25 gennaio 2010
La storia di Luke Duvall
Traduco l'interessante storia di Luke Duvall, raccontata con semplicità da lui stesso.
I contenuti originali sono nel sito dei CDC.
Sono Luke Duvall, sopravvissuto dal virus H1N1, e questa è la mia storia.
Il 4 ottobre 2009 ho cominciato ad accusare alcuni dei sintomi dell'H1N1. In quel momento non sapevo che ben presto avrei combattuto per rimanere in vita. Il 6 ottobre sono stato portato d'urgenza al Pronto Soccorso perchè avevo difficoltà a respirare. Non ero in grado di prendere abbastanza aria neanche per parlare chiaramente. Il giorno successivo sono stato trasportato in elicottero all'Arkansas Children's hospital e ho trascorso i successivi 17 giorni della mia vita attaccato ad un respiratore, combattendo per rimanere in vita e altri 17 giorni per re-imparare a camminare, mangiare e bere di nuovo. Alla fine ho vinto la mia battaglia e sono tornato a casa il 10 novembre. Nel mese della mia lotta ho perso 16 kg e metà del campionato di football. Non sono stato in grado di riprendere la scuola fino al 5 gennaio. Se avessi avuto l'opportunità di essere vaccinato l'avrei fatto per avere tutte le cose che ho perso. La vaccinazione si fa in pochi secondi e salva dai dispiaceri e dai problemi. La mia vita e la vita della mia famiglia è cambiata per sempre. Il vaccino avrebbe prevenuto tutto questo. Se non lo vuoi fare per te stesso fallo per gli altri perchè questo è un problema che non riguarda solo te stesso ma le intere città e comunità. Fallo per loro, fallo per te stesso, in ogni modo fallo e basta.
I contenuti originali sono nel sito dei CDC.
Sono Luke Duvall, sopravvissuto dal virus H1N1, e questa è la mia storia.
Il 4 ottobre 2009 ho cominciato ad accusare alcuni dei sintomi dell'H1N1. In quel momento non sapevo che ben presto avrei combattuto per rimanere in vita. Il 6 ottobre sono stato portato d'urgenza al Pronto Soccorso perchè avevo difficoltà a respirare. Non ero in grado di prendere abbastanza aria neanche per parlare chiaramente. Il giorno successivo sono stato trasportato in elicottero all'Arkansas Children's hospital e ho trascorso i successivi 17 giorni della mia vita attaccato ad un respiratore, combattendo per rimanere in vita e altri 17 giorni per re-imparare a camminare, mangiare e bere di nuovo. Alla fine ho vinto la mia battaglia e sono tornato a casa il 10 novembre. Nel mese della mia lotta ho perso 16 kg e metà del campionato di football. Non sono stato in grado di riprendere la scuola fino al 5 gennaio. Se avessi avuto l'opportunità di essere vaccinato l'avrei fatto per avere tutte le cose che ho perso. La vaccinazione si fa in pochi secondi e salva dai dispiaceri e dai problemi. La mia vita e la vita della mia famiglia è cambiata per sempre. Il vaccino avrebbe prevenuto tutto questo. Se non lo vuoi fare per te stesso fallo per gli altri perchè questo è un problema che non riguarda solo te stesso ma le intere città e comunità. Fallo per loro, fallo per te stesso, in ogni modo fallo e basta.
mercoledì 20 gennaio 2010
Una Regione che non molla!
La pandemia influenzale da nuovo virus A/H1N1 2009 ha messo in ginocchio la Sanità Pubblica italiana. Gli operatori dei Servizi Igiene e Sanità Pubblica sono sfiniti, hanno dato priorità alla risposta alla pandemia su ogni altra cosa e per oltre sei mesi c'è stato poco, pochissimo tempo per respirare. A prima ondata conclusa si tirano le somme e il bilancio è scoraggiante: tanti sforzi e pochi risultati. Se, ad esempio, uno degli indicatori di risultato valutati fosse la copertura vaccinale con vaccino pandemico, la performance del sistema risulterebbe scadente: la Regione più virtuosa, l'Emilia Romagna, ha vaccinato il 10% della popolazione eleggibile, ben lontano dal 40% ipotizzato come obiettivo nazionale.
Personalmente percepisco il desiderio forte di voltare pagina in buona parte degli operatori di Sanità Pubblica.
Nonostante tutto ciò una Regione non molla (se ce ne fossero altre vi prego di segnalarmelo): si tratta delle Marche, che nel sito regionale per gli operatori sanitari dedicato alla pandemia influenzale, pubblica una nota a firma del Comitato Pandemico Regionale (vedi anche le indicazioni operative n. 12 del CPR) con la quale invita gli operatori sanitari che non l'abbiano ancora fatto a considerare di sottoporsi a vaccinazione con vaccino pandemico per affrontare una eventuale, probabile, seconda ondata.
Alla nota è stata data la massima diffusione, ad esempio a Fabriano (dove lavoro) si è deciso di trasmettere la nota allegandola alla busta paga, avendo dunque la certezza che arriverà nelle mani di tutti gli operatori sanitari, compresi tecnici ed amministrativi.
Cosa si otterrà da questi ulteriori sforzi? Probabilmente nulla.
Ma sono orgoglioso di lavorare per la Regione Marche dove gli operatori che si occupano della protezione e della sicurezza della popolazione fanno fino in fondo il loro dovere.
martedì 19 gennaio 2010
Pandemia e mortalità
Riporto le considerazioni inviate ad EpiCentro e pubblicate nel notiziario dell'8 gennaio 2010.
Si parla di pandemia e mortalità.
Guatiero Grilli, Daniel Fiacchini (PF Sanità Pubblica - Regione Marche)
Per gli addetti ai lavori il numero dei decessi è solo uno dei parametri da verificare e non necessariamente il più importante, o almeno non lo è in tutte le circostanze. Al contrario, l’opinione pubblica, tramite i mezzi di comunicazione di massa, sembra considerarlo come unico indicatore d’interesse e, per questo, capace di influenzare pesantemente i comportamenti delle persone.
Poiché più di altri è soggetto a interpretazioni ed equivoci, appare necessario approfondire brevemente il significato di questo parametro.
Il primo problema è l’utilizzo del solo numero di decessi: si tratta di un indicatore povero, poco informativo, talvolta fuorviante. Il numero dei decessi per una certa patologia dovrebbe sempre essere messo in rapporto con un altro numero che rappresenti, ad esempio, i malati o gli esposti. Se al denominatore abbiamo il numero totale dei malati e al numeratore il numero dei deceduti potremo parlare di tasso di letalità; se al denominatore abbiamo gli esposti, ovvero l'intera popolazione interessata dal fenomeno in studio, si potrà parlare correttamente di tasso di mortalità.
Per gli indicatori come il tasso di letalità o il tasso di mortalità è, inoltre, opportuno sottolineare la necessità di stabilire un intervallo temporale entro il quale questi indicatori devono essere considerati. Ciò che di frequente accade, è che i decessi vengano sempre sommati a partire dall’inizio della epidemia. Ciò è stato già fatto in occasione di tutte le più recenti epidemie e, in alcuni casi, come l’Aids, si è continuato a effettuare somme per anni, col risultato di far perdere significato a questo numero. Nel caso della pandemia influenzale, all’inizio della circolazione del virus gli esposti sono rappresentati dall'intera popolazione, ma questa condizione riguarda un periodo limitato di tempo che va comunque identificato con chiarezza. Immaginiamo un articolo di giornale che dica che in Italia si sono verificati 30 decessi, mentre in Giappone 50: se non compariamo almeno la popolazione delle due nazioni e non riferiamo il dato a un periodo di tempo limitato, queste informazioni non avranno alcun significato.
Il problema si complica ulteriormente quando si tratta di stabilire quando un decesso è da attribuire all'influenza. In questo caso, esiste una reale difficoltà, in quanto, in termini epidemiologici, la definizione di causa di morte cambia a seconda del suo utilizzo, senza che questo costituisca una pratica scorretta. La maggior parte dei soggetti contati oggi come morti per influenza non apparirà nelle statistiche di mortalità Istat perché, nella classificazione ufficiale delle cause di morte, la causa è “malattia o evento traumatico che, attraverso eventuali complicazioni o stati morbosi intermedi, ha condotto al decesso”.
Come è noto, l’influenza agisce spesso da causa intermedia, poiché costituisce l’aggravamento di una malattia di base. Se muore per influenza un paziente affetto da leucemia, la causa di morte è la leucemia. A fronte di questo, sembrerebbe, quindi, corretto smentire con forza tutti i vari conteggi che appaiono sui giornali: l’influenza non è quasi mai la vera causa del decesso, ma aggrava semplicemente una grave patologia preesistente.
Va anche precisato che il conteggio effettuato con questa metodologia è distorto da una consistente sottostima del fenomeno: vengono contati solo i morti in cui risulti un isolamento virale. L’isolamento virale non viene fatto in tutti i casi, il prelievo deve essere fatto al momento giusto e con metodologia corretta, quindi è ragionevole pensare che i decessi occorsi “con infezione da virus influenzale in corso” siano in numero maggiore.
In epidemiologia, per stimare il numero dei decessi attribuibile all'influenza stagionale è spesso utilizzato un altro parametro: l’eccesso di mortalità. In poche parole, si tratta di utilizzare il numero di decessi avvenuti per tutte le cause e comparare il numero delle morti verificatisi durante la stagione influenzale con il dato medio delle morti registrato nel restante periodo dell'anno. Questo indicatore consente di valutare l’impatto dell'influenza sulla mortalità di una popolazione. In questo caso non ci sono errori dovuti a mancanza di diagnosi, imprecisioni di interpretazione o altro, in quanto i morti vengono contati tutti, indipendentemente da qualunque altro fattore. Questo indicatore può essere calcolato per classi di età e per sesso. Il valore ottenuto non è generico come potrebbe apparire, infatti, durante un evento come un'epidemia di influenza stagionale (ma questo calcolo è stato fatto anche per altri eventi come ad esempio le ondate di calore), la malattia può avere effetti sulla mortalità in vario modo: aumento degli incidenti, aggravamento di malattie non diagnosticate, influenza stessa non diagnosticata, ecc.
Il calcolo dell’eccesso di mortalità però non è facilmente utilizzabile durante lo svolgimento di un evento sanitario (come la pandemia influenzale attualmente in corso) poiché necessita di un periodo di tempo più lungo e di un altro periodo di paragone che deve essere ben identificato e possibilmente privo di altre variabili che andrebbero a distorcere il risultato.
Ciò che viene fatto al giorno d’oggi e che ha grande risalto sulla stampa è, di fatto, una via di mezzo tra i due parametri. Se, infatti, viene preso in considerazione il numero di morti con isolamento virale per fornire una valutazione dell’impatto della pandemia, siamo di fronte a una forte sottostima del fenomeno, poiché il totale dei morti provocato in qualche modo dall’influenza è molto maggiore. Se, invece, si vuole ottenere un indice della gravità clinica della malattia, utilizzando il medesimo sistema si ottiene una sovrastima del fenomeno, dovuto al fatto che si contano anche i soggetti in cui l’influenza è solo una complicanza della grave patologia preesistente.
In ultimo, appare doveroso ricordare che i dati di letalità (numero di morti su numero di malati) pubblicati giornalmente sono soggetti a un’ulteriore distorsione, in quanto il numero di morti è calcolato come detto, mentre il numero di malati è calcolato utilizzando stime provenienti dal sistema di sorveglianza InfluNet, al quale, tuttavia, sono segnalati i casi di sindromi simil-influenzali (e non di influenza accertata). Dividendo il basso numero di soggetti morti per i quali è stato effettuato l’isolamento virale (anche se in molti casi la vera causa di morte è costituita da altre patologie) per l’altissimo numero soggetti con sintomi simil-influenzali risulta una letalità sicuramente sottostimata.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale dovrebbe essere la giusta metodologia per valutare i parametri epidemiologici della pandemia, incluso il numero di morti. Probabilmente, dipende dal contesto in cui queste cifre vengono utilizzate, tuttavia per avere una stima realistica è necessario utilizzare una metodologia più complessa. Prendendo esempio dai Cdc americani, le stime di incidenza, prevalenza e letalità vengono analizzate da esperti che utilizzano vari indicatori e li elaborano utilizzando, quando necessario, anche fattori di correzione. È anche possibile che le stime cambino e vengano corrette perchè nuovi elementi diventano disponibili: si tratta di un procedimento assolutamente corretto, a condizione che i dettagli metodologici vengano sempre descritti in modo accurato. Utilizzare stime elaborate con questa metodologia comporta però maggiori problemi di comunicazione. Un numero definito come totale dei morti (anche se sbagliato) fornisce un messaggio molto più rapido e facilmente utilizzabile. Una stima necessita di maggiori spiegazioni e anche di maggiore credibilità da parte della fonte. I Cdc, ad esempio, utilizzano un comunicatore autorevole e preparato dal punto di vista tecnico (il Direttore) e, per evitare il ricorso ad altre fonti, i rappresentanti dei mezzi di comunicazione vengono convocati frequentemente e periodicamente.
Riferimenti bibliografici
• WHO. Comparing deaths from pandemia and seasonal influenza. Pandemic (H1N1) 2009 briefing note 20 (ultimo accesso 23.12.09)
• CDC. H1N1-Related Deaths, Hospitalizations and Cases: Details of Extrapolations and Ranges: United States, Emerging Infections Program (EIP) Data (pdf 34 kb, ultimo accesso 23.12.09).
Si parla di pandemia e mortalità.
Guatiero Grilli, Daniel Fiacchini (PF Sanità Pubblica - Regione Marche)
Per gli addetti ai lavori il numero dei decessi è solo uno dei parametri da verificare e non necessariamente il più importante, o almeno non lo è in tutte le circostanze. Al contrario, l’opinione pubblica, tramite i mezzi di comunicazione di massa, sembra considerarlo come unico indicatore d’interesse e, per questo, capace di influenzare pesantemente i comportamenti delle persone.
Poiché più di altri è soggetto a interpretazioni ed equivoci, appare necessario approfondire brevemente il significato di questo parametro.
Il primo problema è l’utilizzo del solo numero di decessi: si tratta di un indicatore povero, poco informativo, talvolta fuorviante. Il numero dei decessi per una certa patologia dovrebbe sempre essere messo in rapporto con un altro numero che rappresenti, ad esempio, i malati o gli esposti. Se al denominatore abbiamo il numero totale dei malati e al numeratore il numero dei deceduti potremo parlare di tasso di letalità; se al denominatore abbiamo gli esposti, ovvero l'intera popolazione interessata dal fenomeno in studio, si potrà parlare correttamente di tasso di mortalità.
Per gli indicatori come il tasso di letalità o il tasso di mortalità è, inoltre, opportuno sottolineare la necessità di stabilire un intervallo temporale entro il quale questi indicatori devono essere considerati. Ciò che di frequente accade, è che i decessi vengano sempre sommati a partire dall’inizio della epidemia. Ciò è stato già fatto in occasione di tutte le più recenti epidemie e, in alcuni casi, come l’Aids, si è continuato a effettuare somme per anni, col risultato di far perdere significato a questo numero. Nel caso della pandemia influenzale, all’inizio della circolazione del virus gli esposti sono rappresentati dall'intera popolazione, ma questa condizione riguarda un periodo limitato di tempo che va comunque identificato con chiarezza. Immaginiamo un articolo di giornale che dica che in Italia si sono verificati 30 decessi, mentre in Giappone 50: se non compariamo almeno la popolazione delle due nazioni e non riferiamo il dato a un periodo di tempo limitato, queste informazioni non avranno alcun significato.
Il problema si complica ulteriormente quando si tratta di stabilire quando un decesso è da attribuire all'influenza. In questo caso, esiste una reale difficoltà, in quanto, in termini epidemiologici, la definizione di causa di morte cambia a seconda del suo utilizzo, senza che questo costituisca una pratica scorretta. La maggior parte dei soggetti contati oggi come morti per influenza non apparirà nelle statistiche di mortalità Istat perché, nella classificazione ufficiale delle cause di morte, la causa è “malattia o evento traumatico che, attraverso eventuali complicazioni o stati morbosi intermedi, ha condotto al decesso”.
Come è noto, l’influenza agisce spesso da causa intermedia, poiché costituisce l’aggravamento di una malattia di base. Se muore per influenza un paziente affetto da leucemia, la causa di morte è la leucemia. A fronte di questo, sembrerebbe, quindi, corretto smentire con forza tutti i vari conteggi che appaiono sui giornali: l’influenza non è quasi mai la vera causa del decesso, ma aggrava semplicemente una grave patologia preesistente.
Va anche precisato che il conteggio effettuato con questa metodologia è distorto da una consistente sottostima del fenomeno: vengono contati solo i morti in cui risulti un isolamento virale. L’isolamento virale non viene fatto in tutti i casi, il prelievo deve essere fatto al momento giusto e con metodologia corretta, quindi è ragionevole pensare che i decessi occorsi “con infezione da virus influenzale in corso” siano in numero maggiore.
In epidemiologia, per stimare il numero dei decessi attribuibile all'influenza stagionale è spesso utilizzato un altro parametro: l’eccesso di mortalità. In poche parole, si tratta di utilizzare il numero di decessi avvenuti per tutte le cause e comparare il numero delle morti verificatisi durante la stagione influenzale con il dato medio delle morti registrato nel restante periodo dell'anno. Questo indicatore consente di valutare l’impatto dell'influenza sulla mortalità di una popolazione. In questo caso non ci sono errori dovuti a mancanza di diagnosi, imprecisioni di interpretazione o altro, in quanto i morti vengono contati tutti, indipendentemente da qualunque altro fattore. Questo indicatore può essere calcolato per classi di età e per sesso. Il valore ottenuto non è generico come potrebbe apparire, infatti, durante un evento come un'epidemia di influenza stagionale (ma questo calcolo è stato fatto anche per altri eventi come ad esempio le ondate di calore), la malattia può avere effetti sulla mortalità in vario modo: aumento degli incidenti, aggravamento di malattie non diagnosticate, influenza stessa non diagnosticata, ecc.
Il calcolo dell’eccesso di mortalità però non è facilmente utilizzabile durante lo svolgimento di un evento sanitario (come la pandemia influenzale attualmente in corso) poiché necessita di un periodo di tempo più lungo e di un altro periodo di paragone che deve essere ben identificato e possibilmente privo di altre variabili che andrebbero a distorcere il risultato.
Ciò che viene fatto al giorno d’oggi e che ha grande risalto sulla stampa è, di fatto, una via di mezzo tra i due parametri. Se, infatti, viene preso in considerazione il numero di morti con isolamento virale per fornire una valutazione dell’impatto della pandemia, siamo di fronte a una forte sottostima del fenomeno, poiché il totale dei morti provocato in qualche modo dall’influenza è molto maggiore. Se, invece, si vuole ottenere un indice della gravità clinica della malattia, utilizzando il medesimo sistema si ottiene una sovrastima del fenomeno, dovuto al fatto che si contano anche i soggetti in cui l’influenza è solo una complicanza della grave patologia preesistente.
In ultimo, appare doveroso ricordare che i dati di letalità (numero di morti su numero di malati) pubblicati giornalmente sono soggetti a un’ulteriore distorsione, in quanto il numero di morti è calcolato come detto, mentre il numero di malati è calcolato utilizzando stime provenienti dal sistema di sorveglianza InfluNet, al quale, tuttavia, sono segnalati i casi di sindromi simil-influenzali (e non di influenza accertata). Dividendo il basso numero di soggetti morti per i quali è stato effettuato l’isolamento virale (anche se in molti casi la vera causa di morte è costituita da altre patologie) per l’altissimo numero soggetti con sintomi simil-influenzali risulta una letalità sicuramente sottostimata.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale dovrebbe essere la giusta metodologia per valutare i parametri epidemiologici della pandemia, incluso il numero di morti. Probabilmente, dipende dal contesto in cui queste cifre vengono utilizzate, tuttavia per avere una stima realistica è necessario utilizzare una metodologia più complessa. Prendendo esempio dai Cdc americani, le stime di incidenza, prevalenza e letalità vengono analizzate da esperti che utilizzano vari indicatori e li elaborano utilizzando, quando necessario, anche fattori di correzione. È anche possibile che le stime cambino e vengano corrette perchè nuovi elementi diventano disponibili: si tratta di un procedimento assolutamente corretto, a condizione che i dettagli metodologici vengano sempre descritti in modo accurato. Utilizzare stime elaborate con questa metodologia comporta però maggiori problemi di comunicazione. Un numero definito come totale dei morti (anche se sbagliato) fornisce un messaggio molto più rapido e facilmente utilizzabile. Una stima necessita di maggiori spiegazioni e anche di maggiore credibilità da parte della fonte. I Cdc, ad esempio, utilizzano un comunicatore autorevole e preparato dal punto di vista tecnico (il Direttore) e, per evitare il ricorso ad altre fonti, i rappresentanti dei mezzi di comunicazione vengono convocati frequentemente e periodicamente.
Riferimenti bibliografici
• WHO. Comparing deaths from pandemia and seasonal influenza. Pandemic (H1N1) 2009 briefing note 20 (ultimo accesso 23.12.09)
• CDC. H1N1-Related Deaths, Hospitalizations and Cases: Details of Extrapolations and Ranges: United States, Emerging Infections Program (EIP) Data (pdf 34 kb, ultimo accesso 23.12.09).
lunedì 4 gennaio 2010
Rivendere o donare? Ampliare!
Strano il destino del vaccino pandemico. Prima atteso come un'arma di sanità pubblica essenziale, poi abbandonato nei siti di stoccaggio dei Paesi ricchi, quelli che si sono permessi il lusso di acquistarne per parte della popolazione. Ora il vaccino avanzato "scotta" e i vari Paesi cominciano a chiedersi cosa farne.
La Francia sembra sia impegnata nel rivendere le dosi inutilizzate di vaccino acquistato (leggi qui). L'OMS, attraverso il suo Direttore Generale, propone che il vaccino in eccesso sia donato ai Paesi in via di sviluppo (leggi qui).
L'Italia non fa nè l'una nè l'altra cosa... l'Italia amplia le categorie vaccinabili... e tra un po', giusto per smaltire i vaccini rimasti, probabilmente il vaccino sarà disponibile a tutti quelli che lo vogliano fare, senza distinzione ,senza patologie, senza fattori di rischio.
La Francia sembra sia impegnata nel rivendere le dosi inutilizzate di vaccino acquistato (leggi qui). L'OMS, attraverso il suo Direttore Generale, propone che il vaccino in eccesso sia donato ai Paesi in via di sviluppo (leggi qui).
L'Italia non fa nè l'una nè l'altra cosa... l'Italia amplia le categorie vaccinabili... e tra un po', giusto per smaltire i vaccini rimasti, probabilmente il vaccino sarà disponibile a tutti quelli che lo vogliano fare, senza distinzione ,senza patologie, senza fattori di rischio.
domenica 3 gennaio 2010
Gasparri, ultimo esperto di Sanità Pubblica
Ed eccolo! Lui mancava all'appello!
Tra gli esperti di Sanità Pubblica dell'ultim'ora si aggiunge alla lista anche Gasparri.
Le sue parole sono le seguenti e le potete leggere qui:
«Su questa storia dei vaccini sarà forse il caso di fare luce in Parlamento. Alla prova dei fatti l'influenza di quest'anno si è rivelata simile a quelle del passato e per molti versi più leggera. Ricordo gli errati inviti in pieno luglio a chiudere le scuole a settembre, che il ministro Gelmini ed io stesso con lungimiranza stroncammo. Come ai tempi dell'epidemia aviaria, si comprano quantità ingenti di vaccini poi non utilizzati».
Secondo Gasparri «è difficile non pensare a manovre speculative a livello planetario di spregiudicate multinazionali, così potenti da condizionare un'informazione che con il suo allarmismo diventa scendiletto di pescicani». E poi continua «Bisogna capire se chi ha guadagnato senza ragione potrà restituire le risorse accumulate a colpi di bugie».
Tra gli esperti di Sanità Pubblica dell'ultim'ora si aggiunge alla lista anche Gasparri.
Le sue parole sono le seguenti e le potete leggere qui:
«Su questa storia dei vaccini sarà forse il caso di fare luce in Parlamento. Alla prova dei fatti l'influenza di quest'anno si è rivelata simile a quelle del passato e per molti versi più leggera. Ricordo gli errati inviti in pieno luglio a chiudere le scuole a settembre, che il ministro Gelmini ed io stesso con lungimiranza stroncammo. Come ai tempi dell'epidemia aviaria, si comprano quantità ingenti di vaccini poi non utilizzati».
Secondo Gasparri «è difficile non pensare a manovre speculative a livello planetario di spregiudicate multinazionali, così potenti da condizionare un'informazione che con il suo allarmismo diventa scendiletto di pescicani». E poi continua «Bisogna capire se chi ha guadagnato senza ragione potrà restituire le risorse accumulate a colpi di bugie».
Dunque la pandemia influenzale sarebbe diventata "l'influenza di quest'anno", la Gelmini e Gasparri sarebbero stati "lungimiranti" nel giudicare inappropriata una possibile misura di sanità pubblica e ai "tempi dell'aviaria" sono stati acquistati dei vaccini...
Senza parole. Ho la tentazione di lasciare il post così com'è, senza aggiungere nulla alle deliranti parole di Gasparri.
Poi penso a chi visita PandemItalia per la prima volta, a chi non ha mai sentito parlare di influenza e pandemia influenzale... torno in me e cerco di evitare ogni polemica andando a dare qualche spiegazione del perchè le parole di Gasparri siano "spiazzanti".
1. Siamo nel corso di una pandemia influenzale. In Italia la prima ondata è terminata e ce ne potrebbe essere un'altra. La pandemia influenzale non è una "comune" influenza. Le pandemie occorrono ogni 30-40 anni... chi vuole può leggere qui per approfondire il concetto di pandemia influenzale e può leggere qui per comprendere quanto sia sbagliato descrivere come "normale" un evento straordinario come quello di una pandemia influenzale.
2. La Gelmini, Gasparri, Brunetta avrebbero dovuto collaborare con le istituzioni che si sono occupate della gestione della pandemia mentre quello a cui abbiamo assistito è stata una pessima prova d'orchestra.
3. A cavallo tra il 2005 e il 2006 l'emergenza aviaria colpì profondamente anche l'Italia. Si trattava di un'emergenza mediatica. Il mercato delle carni avicole colò a picco per l'ignoranza dei mass media e dell'italiano medio. In quel momento l'allora ministro della salute Francesco Storace decise per l'acquisto di milioni di dosi di antivirali. Nessun vaccino venne acquistato a quel tempo, ovviamente, perchè nessuna pandemia influenzale era in corso. Dimenticavo... gli antivirali non sono vaccini.
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